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Le Religioni in Italia

Massimo Introvigne - PierLuigi Zoccatelli (sotto la direzione di)

INTRODUZIONE ALLA RELIGIOSITÀ CINESE

Religioni e movimenti di origine cinese ed estremo-orientaleUn buon numero di correnti e movimenti presenti in Italia derivano dalla spiritualità della Cina, e dalle sue influenze in Indocina e in Giappone, che vanno concettualmente distinte sia dal buddhismo, sia da quella combinazione di scintoismo e di religiosità popolare giapponese che è alle origini in Giappone delle nuove religioni non buddhiste. Le esperienze religiose della Cina sono anche presenti fra gli immigrati cinesi in Italia, in genere in forma poco organizzata, e coesistono con le Chiese e comunità cristiane di lingua cinese, a loro volta attive sia in Cina sia nell’emigrazione. La domanda tuttavia, quando ci si trova di fronte a correnti di origine cinese, è se si tratti di realtà religiose o non religiose. È un problema che esiste anche in Cina, dove oggi interagisce con questioni politiche, dal momento che il regime comunista guarda con sospetto le religioni, e per numerose correnti e scuole è più facile sopravvivere presentandosi come non religiose. I cinesi parlano comunemente di “tre insegnamenti” – confucianesimo, taoismo e buddhismo – e questo schema è stato adottato, almeno fino a tempi recenti, dalla maggioranza degli studiosi occidentali della religione in Cina.

Recentemente, tuttavia, si sono levate voci critiche, per più ordini di ragioni. Anzitutto, il riferimento a “tre insegnamenti” può far sorgere la tentazione di dividere i cinesi in confuciani, taoisti e buddhisti (più, naturalmente, cristiani – che peraltro, secondo alcuni studiosi, sarebbero ormai, o almeno si avvierebbero a diventare, la maggioranza relativa fra i cinesi che praticano una religione –, musulmani e seguaci dell’ateismo scientifico marxista propagandato dal regime). In realtà non è così, perché nella tradizione cinese – come del resto in quella giapponese – è perfettamente normale rivolgersi, per diversi rituali e necessità della vita, al confucianesimo, al taoismo e al buddhismo, senza che neppure si possa parlare di doppia o tripla “appartenenza”, dal momento che la stessa nozione di “appartenenza” a una religione si applica difficilmente alla spiritualità cinese. È vero che, nella storia dell’Impero, ci sono stati tentativi di imporre una religione di Stato: ma si è trattato di tentativi effimeri, proprio in quanto hanno incontrato la resistenza della popolazione.

In secondo luogo, la formula dei “tre insegnamenti” è stata coniata da una tradizione culturale “colta”, e rivolta alle persone colte, e rischia di lasciare fuori quella che in Occidente è chiamata “religiosità popolare” e che governa una serie di attività gestite dalle famiglie o da specialisti religiosi locali, a proposito dei quali spesso è difficile dire se siano confuciani, taoisti o buddhisti. Fra queste attività – cruciali per la vita spirituale cinese – si situano la celebrazione dei funerali e quella del nuovo anno cinese. In terzo luogo, alcuni studiosi osservano che la formula dei “tre insegnamenti” mette insieme realtà non omogenee: il buddhismo (per quanto in Cina, influenzato dagli altri “insegnamenti”, assuma profili peculiari) è propriamente una religione, il confucianesimo un sistema di valori (per altri un ideale o ideologia politica), il taoismo uno stile di vita (per la maggioranza di coloro che vi si accostano) e per alcuni una scuola esoterica. È stato soprattutto Joseph Needham (1900-1995) – il maggiore studioso contemporaneo della cultura e della religione cinese – a suggerire l’esistenza, a monte di molteplici manifestazioni e differenze, di una cosmologia e di una religiosità specificamente cinese, che influenza sia altri paesi dell’Estremo Oriente sia il buddhismo così come è recepito in Cina, e rispetto alla quale il confucianesimo e il taoismo costituiscono tentativi di sistematizzazione.

Il principio essenziale di questa “religiosità cinese” è l’esistenza del qi (che diventa kiin Giappone) come materia prima o componente fondamentale dell’universo. Nessun tentativo di traduzione della parola qi in lingue occidentali è giudicato interamente soddisfacente dai cinesi. Se si parla di “materia prima”, infatti, si rischia di dimenticare che il qi è una realtà primordiale insieme materiale e spirituale. “Energia” o “forza vitale” sono forse traduzioni più soddisfacenti, ma anche queste non traducono completamente il carattere insieme fisico e metafisico del qi. Il qi opera secondo due principali modalità, chiamate yin e yang (espressioni di cui ormai si rinuncia a cercare una traduzione, e che anzi sono entrate nell’uso comune in Occidente, particolarmente in ambienti New Age).Yin identifica l’ombra, l’umido, il freddo, il principio femminile, il basso. A yangcorrispondono la luce, il secco, il caldo, il principio maschile, l’alto. Sarebbe invece sbagliato identificare semplicemente yin con il negativo e yang con il positivo. L’ideale cinese – e il modo con cui il qi si manifesta armoniosamente – non è quello di una prevalenza di yang su yin, ma di un equilibrio e di un’armonia fra i due principi. Equilibrio, armonia, moderazione – come sottolinea la tradizione confuciana – sono valori essenziali nella visione del mondo cinese.

Al sistema non è tuttavia estranea un’idea di gerarchia: l’“alto” e il “basso” sono entrambi necessari, ma non sono sullo stesso piano. Perché la società sia “armoniosa” (cioè, yin e yang siano in equilibrio) sono necessarie una gerarchia e una burocrazia, in cui ciascuno sappia esattamente quale è la sua parte e il suo compito. Così importante è la burocrazia nella mentalità cinese che lo stesso mondo celeste è visto come organizzato in modo burocratico e gerarchico, con l’Imperatore di Giada (celebrato nel capodanno cinese) che ha lo stesso ruolo del monarca terreno nella Cina imperiale. Yinyang devono essere in armonia e in equilibrio anche all’interno del corpo umano, e a questo fine – per esempio – è necessario assumere in modo equilibrato alimenti classificati come yin e yang. Se l’equilibrio si rompe, l’energia qi non riesce più a fluire armoniosamente all’interno del corpo, determinando le malattie e ultimamente la morte.

Il qi gong, spesso definito come la versione cinese dello yoga, cerca precisamente di restaurare il fluire armonioso del qi all’interno del corpo umano attraverso una serie di esercizi e di tecniche. Tutto il vastissimo campo della cosiddetta “medicina tradizionale” cinese è pure basato sulla nozione di un necessario flusso armonioso del qi. Poiché il qiè un principio sia fisico, sia metafisico non è sempre facilissimo distinguere la “medicina cinese” dalla religione; e analoghe considerazioni valgono per il qi gong e per le scuole di arti marziali (anch’esse spesso basate sull’idea di un controllo dell’energia che fluisce attraverso il corpo umano). Nell’attuale Cina comunista, non potendo sradicare facilmente tradizioni più che millenarie, il regime ha cercato di distinguere fra pratiche tradizionali che sarebbero semplicemente curative, dietetiche, ginniche o sportive (che sono insieme controllate attraverso organizzazioni governative e cautamente promosse), e “superstizioni” o “sette malvagie” che sono invece combattute con tutta la potenza di una macchina repressiva totalitaria.

Per ragioni diverse, anche in Occidente molti gruppi affermano di insegnare forme di “yoga taoista” e simili come semplici tecniche, che non avrebbero nulla di religioso e come tali potrebbero essere praticate anche da cristiani senza mettere in pericolo la loro fede religiosa. È certamente vero che non tutti coloro che praticano arti marziali di origine cinese, o estremo-orientale in genere, o che si rivolgono a questa o quella branca della medicina cinese abbracciano necessariamente il quadro religioso o metafisico di riferimento soggiacente. Entrano tuttavia in contatto con alcune idee che non sono semplicemente igieniche o sportive, e che in alcuni gruppi (talora definiti “quasi-religiosi”) emergono più facilmente in primo piano.

Si tratta di una problematica che non è facile cogliere se si considera la religione semplicemente come la venerazione in forma organizzata di un Dio creatore. Al centro e al cuore della spiritualità cinese non c’è Dio, ma il qi. Qualche studioso pensa che l’Imperatore di Giada, al vertice della gerarchia degli dei, sia una personificazione del qi. Tuttavia, il qi è una realtà permanente, impersonale, di cui anche gli dei sono fatti e che li precede. Gli dei – particolarmente nell’universo taoista – sono superiori agli uomini, e la loro venerazione è utile. Ma anche gli dei sono coinvolti in un processo di limitazione e di manifestazione del qi, che nella sua forma più perfetta è non-manifestato e indeterminato. Quando il qi si manifesta, anche nella forma degli dei, comincia a limitarsi.

Non è neppure chiarissimo quale termine cinese traduca il concetto di “Dio”. La parola più importante è shen, che – come l’espressione occidentale “spirito” – può indicare la componente spirituale dell’uomo, oppure un personaggio che fa parte della categoria degli spiriti o divinità, o la realtà spirituale in genere. Quando sono chiamatishen, gli spiriti o divinità sono yang e superiori, e si oppongono agli spettri o demoni chiamati gui, che sono invece yin. L’espressione guishen (che indica i demoni e gli dei, e il loro mondo) mostra ancora una volta come, pure nel mondo degli spiriti, le componenti yin e yang devono necessariamente coesistere. Lo stesso avviene per quella che si è chiamata componente spirituale dell’uomo. Non si tratta dell’“anima” nel senso occidentale del termine, anzitutto perché non è unica: ogni persona ha diverse “anime” o componenti spirituali, sia di tipo yin, chiamate po, sia di tipo yang, chiamatehun. Le “anime terrestri” o po alla morte rimangono legate alla Terra, interagendo con il cadavere (secondo le sue ricostruzioni storiche più autorevoli, il mito del vampiro ha le sue origini in Cina) o tormentando i viventi come fantasmi. Le “anime celesti” (hun) – che sono sempre più di una per ogni persona – rinascono in Cielo come spiriti divini, o si reincarnano in Terra, o ancora risiedono nelle tavolette e altri emblemi che non solo celebrano ma “ospitano” gli antenati nel santuario della famiglia o del villaggio.

Il fatto che ogni persona abbia più “anime” permette di rendere compatibili il soggiorno del defunto nel sacrario degli antenati e, contemporaneamente, la sua reincarnazione sulla Terra o la rinascita in Cielo come spirito divino. La famiglia patrilineare estesa, insieme alla gerarchia sociale, occupa un posto di straordinario rilievo nella spiritualità cinese. Recentemente, l’espressione “culto degli antenati” è stata contestata dagli specialisti e sostituita più frequentemente con “culto dei morti”, non senza sottolineare che la differenza fra i “morti” e i “vivi” è molto più sfumata rispetto all’Occidente. I “morti” sono vivi, particolarmente per i membri della loro famiglia, di cui fanno parte e cui si manifestano e appaiono in una molteplicità di modi diversi. Professionisti del sacro chiamati sciamani o medium dagli studiosi occidentali (e in una varietà di modi dai cinesi) sono importanti in Cina e nell’emigrazione: non trasmettono tanto messaggi dei defunti, ma di spiriti divini (i quali però, come si è visto, possono essere antenati rinati in Cielo come divinità). Non solo questi professionisti, ma qualunque persona può apprendere i rudimenti della predizione del futuro, che si basa ancora una volta sull’interazione fra yin e yang, particolarmente nelle formule dell’I Ching, un testo attribuito al leggendario imperatore Fo-Hi che insegna a interpretare sessantaquattro esagrammi formati da combinazioni casuali di cinquanta bastoncini.

Nei confronti di questa “religiosità cinese” il confucianesimo e il taoismo si pongono come sistemi che tentano di organizzare un substrato riconosciuto come precedente. “Confucio” è il nome dato dai missionari occidentali a un personaggio di cui poco si sa, ma che sembra storico: Kong Qiu (551 a.C.-479 a.C.). Quello che si sa di lui è sufficiente a far concludere che Kong Qiu non voleva in nessun modo presentarsi come il fondatore di una scuola, e tanto meno di una nuova religione. Kong Qiu era piuttosto un tradizionalista, che lamentava la decadenza nella morale e nei riti (li). Per Kong Qiu i valori della famiglia e della gerarchia sociale erano essenziali alla prosperità dell’Impero, e i riti avevano il compito di rafforzarli. Sull’importanza dell’etica individuale insiste il continuatore di Kong Qiu chiamato dai missionari Mencio (Meng Ki o Mengzi, 371 a.C.-289 a.C.), mentre Xun King o Xunzi (†215 a.C.) insiste sul ruolo primario del rituale per creare istituzioni sociali capaci di costituire un’autentica civiltà.

Sull’esempio di questi saggi più antichi, la dinastia Han fra il 202 a.C. e il 220 d.C. crea un sistema di amore per la letteratura classica, di etica incentrata sulla famiglia, di dottrina sociale intesa a sottolineare il carattere sacrale della burocrazia celebrato nei riti, cui i primi osservatori occidentali daranno il nome di confucianesimo. La dinastia Han lega i riti a una rete nazionale di templi eretti in onore di Kong Qiu, che culminano nella casa del saggio trasformata in santuario nazionale. I testi sacri “confuciani” canonizzati dalla dinastia Han risalgono peraltro – o si ritiene che risalgano – a un’epoca precedente a Kong Qiu, e tra gli intellettuali il “confucianesimo” che più tardi i missionari incontreranno deve molto all’elaborazione di Dong Zhongshu (179 a.C.-104 a.C.), che applica sistematicamente la dottrina del dualismo di yin e yang a un gran numero di problemi metafisici e sociali.

Nella versione di Dong, consacrata dalla dinastia Han e mantenuta da dinastie successive, il “confucianesimo” è un sistema di istituzioni religiose destinate a confermare il carattere sacrale dell’Impero attraverso i riti, l’etica individuale e quella familiare. Sotto le dinastie che succedono agli Han, il confucianesimo diventa secondario rispetto al buddhismo, e più tardi patisce la concorrenza del taoismo. Un primo movimento di risveglio si verifica fra l’XI e il XII secolo, con una serie di commentatori che va da Zhou Dunyi (1017-1073) a Zhu Xi (1130-1200). Gli scritti di quest’ultimo commentatore conquistano anche i mongoli, che nel 1315 ne fanno l’elemento principale dell’esame nazionale per accedere alla burocrazia imperiale. L’ultimo sistematizzatore del confucianesimo, Wang Yangming (1475-1529), è notevolmente influenzato dall’esoterismo taoista e dalle pratiche buddhiste di meditazione.

Il taoismo attribuisce la sua fondazione a un personaggio forse interamente mitologico, Laozi o Lao Tze, che sarebbe vissuto nel VI secolo a.C. Il testo che gli è attribuito, il Tao-te-king, è probabilmente più tardo. Una figura storica di “taoista” – ma forse non l’autore delle opere che gli sono attribuite – è Zhuangzi o Chuang Tze (370 a.C.- 301 a.C.). Il taoismo è nato probabilmente immediatamente dopo il confucianesimo, e se ne differenzia in quanto rappresenta la nostalgia di una Cina pre-imperiale divisa in piccole comunità autoctone e non ancora sottoposta alle rigorose regole, morali e sociali, della burocrazia imperiale. Dal punto di vista metafisico, questa nostalgia si traduce nel primato del caos (hundun) come oceano infinito di possibilità. Secondo un principio caratteristico della religiosità cinese, questo stato di non determinatezza è – come abbiamo visto – superiore a ogni determinazione, nascita o creazione che costituisce non tanto e non solo uno sviluppo, ma anche una limitazione del primitivo stato indeterminato. L’espressione tao indica sia il tutto o il fluire dell’energia universale qi, sia la “via” dei saggi che con tale tutto sanno entrare in armonia.

Muovendo dal caos originario il tao – indeterminato nel suo primo stato – si determina come uno (chiamato pure qi), quindi come due (yin e yang), tre (materia, ragione e figura, che compongono ogni essere) e infine “diecimila” (la pluralità degli esseri che abitano il mondo manifestato). Il passaggio del tao dallo stato caotico di non manifestazione all’uno, al due, al tre e al diecimila costituisce una progressiva caduta. La “via”, il taoismo appunto, insegna a ritornare dalla molteplicità all’uno determinato, e dall’uno al tao non determinato. Come complesso di scritti e di dottrine, il taoismo risale quindi almeno al IV secolo a.C. Come movimento religioso organizzato, le sue origini sono più recenti e rimandano a un insieme di “sette” (l’espressione non ha un senso peggiorativo per chi studia la religione cinese) che nascono nel II secolo d.C.

Una delle più importanti, la Via dei Maestri Celestiali (Tianshi Dao) nasce nel 142 quando un maestro chiamato Zhang Daoling (di cui si ignorano le date di nascita e di morte) afferma di avere ricevuto una rivelazione dal Signore Lao, cioè da Lao Tze rinato in Cielo come divinità. La dinastia Wei che succede nel 220 a quella Han, riconosce ufficialmente la struttura del Tianshi Dao, che nel frattempo si è organizzato particolarmente nel Sichuan grazie anche a un originale sistema di pagamento di decime in natura. In cambio, il Maestro del Tianshi Dao proclama il diritto divino dell’Imperatore come parte della dottrina. Il Tianshi Dao è tuttavia soltanto una fra centinaia di “sette” taoiste fondate a getto pressoché continuo dal II secolo fino ai giorni nostri, ciascuna – di solito – da un “Maestro Celestiale” che riceve rivelazioni da Lao Tze o da altri spiriti divini. Il taoismo si presenta spesso come una sapienza millenaria, e le linee essenziali della sua visione del mondo costituiscono un momento unificante per le varie “sette”. Queste sono tuttavia diversissime fra loro, così che anche chi sostiene che il taoismo – in quanto movimento religioso – non è un fenomeno unitario non ha torto.

L’importanza delle rivelazioni private, dei Maestri Celestiali e dei loro insegnamenti spesso esoterici rende ragione della grande differenza di forme nel taoismo. Le divinità principali sono personificazioni del tao, ma accanto a esse vivono i maestri che sono diventati immortali. L’immortalità è peraltro offerta a chi pratichi fino in fondo gli insegnamenti delle scuole esoteriche. Queste promettono la costruzione di un’“anima” che non a tutti gli uomini è data, e che permetterà la prosecuzione dell’esistenza come “immortali” (xianren) attraverso una varietà di tecniche: forme di esercizio fisico e di ginnastica nella tradizione qi gong, diete macrobiotiche, alchimia di laboratorio e alchimia “interna” con elementi sessuali. Da questo punto di vista, molte pratiche di origine taoista – portate dalla Cina all’India, dove sono state assunte dal tantrismo, poi dall’India all’Occidente – si ritrovano (senza che le filiazioni e le origini siano sempre evidenti) in numerosi movimenti magici occidentali che praticano l’alchimia interna.

Idee confuciane e taoiste, e la “religiosità cinese” in genere, vivono fra i molti immigrati cinesi in Italia che non si sono convertiti al cristianesimo, ma in genere – come si è accennato – in forme non organizzate. Maestri cinesi, insieme ad altri occidentali (che spesso sono stati loro allievi), guidano o ispirano centri “taoisti”, che offrono corsi di arti marziali, di qi gong e yoga, di dietetica e di “circolazione e controllo dell’energia vitale”, nonché spesso di Feng Shui, l’arte cinese di disporre gli oggetti, di arredamento e di architettura che si è conquistata negli ultimi anni tanti entusiasti sostenitori in Occidente. Certamente molti di questi centri sono piuttosto palestre di arti marziali, che non sottolineano – o progressivamente perdono – qualunque elemento religioso. Alcuni, più o meno consapevolmente radicati nella visione del mondo taoista, si ispirano a maestri molto noti su scala internazionale come Mantak Chia, Howard Y. Lee – fondatore di un sistema di cura basato su modelli di “energia in movimento” e creatore di The Light of Life Institute, una rete di “gruppi di pratica di induzione di energia” diffusi in tutto il mondo e anche in Italia, per tramite dell’Associazione Light of Life Longevity Instructors – o Master Choa Kok Sui (Samson Lim Choachuy, 1952-2007). Un interesse particolare – a causa del duro conflitto con il regime cinese – ha assunto il Falun Gong, presente anche in Italia da alcuni anni. Il Falun Gong – come molti altri gruppi di qi gong – potrebbe essere presentato come gruppo “sincretistico”, con elementi buddhisti, taoisti e confuciani, se non fosse che le caratteristiche peculiari della “religiosità cinese” rendono ambiguo qualunque uso del termine “sincretismo” in Cina.

Due ulteriori elementi meritano di essere sottolineati a proposito della miriade di movimenti religiosi nati in Cina – e fra le comunità cinesi emigrate – soprattutto negli ultimi due secoli. Il primo è il frequente carattere apocalittico e millenarista, che deriva – paradossalmente – dalla nostalgia di un’età dell’oro originaria. Giacché il mondo come è non corrisponde (più) alle caratteristiche di questa età dell’oro, il ritorno alla perfezione primitiva può passare anche per la rivoluzione. Trascurando le influenze del millenarismo religioso cinese sul maoismo (su sui si sono soffermati diversi studiosi), numerosi e sanguinosi episodi di rivolta apocalittica fra l’Ottocento e il Novecento rendono sospettosi tutti i tipi di autorità costituita quando si trovano di fronte un movimento religioso cinese che cresce troppo rapidamente. Si dovrebbe aprire qui anche il discorso sulle società segrete cinesi, presenti anche nell’emigrazione in Italia, le cui attuali caratteristiche di organizzazioni criminali non devono fare dimenticare che la loro origine è sia religiosa, sia legata alla nostalgia di un passato rappresentato dall’epoca Ming.

In secondo luogo, l’espansione spirituale (e non solo spirituale) della Cina in tutto l’Estremo Oriente, e il carattere poco organizzato della religione cinese hanno favorito incontri e commistioni con un gran numero di spiritualità diverse. Così i numerosissimi movimenti religiosi che sono fioriti – in un clima di libertà istituzionale sconosciuta alla Cina continentale – a Taiwan coniugano la “religiosità cinese” con un numero sorprendente di altri apporti. Per esempio, il movimento della Maestra Suprema Ching Hai – uno dei movimenti di Taiwan che hanno conosciuto la maggiore espansione internazionale – presenta, accanto agli elementi della “religiosità cinese”, altri di origine radhasoami, e a una pluralità di fonti diverse si rifà anche Spiritual Human Yoga, di origine vietnamita.

Per altri gruppi ancora, si rimane restii a classificarli fra quelli di natura spirituale e religiosa, dal momento che operano nel mondo della terapia, talora a stretto contatto con forme “ufficiali” di medicina. È il caso del Gruppo Jean-Marc Eyssalet, scuola parigina con gruppi anche nel Québec e in Italia (a Torino), cui è legata anche la Associazione Culturale per lo studio dell’Energetica Tradizionale Cinese e la Sinologia “La Tartaruga” di Lodi, che – sotto l’influsso di un sistema di esercizi noto come zhan zhuang(letteralmente “stare in piedi come un pilastro), sviluppato da Wang Xiang Zhai (1885-1963) – propone una forma di qi gong che insiste sulla nozione di shen come “torre di controllo” del qi. Qui come altrove, la distinzione fra medicina tradizionale e spiritualità si rivela peraltro difficile se non impossibile, e problemi simili si pongono di fronte a scuole che oscillano fra arti marziali, terapie del benessere e accenni alla spiritualità. Gli esempi di centri taoisti che abbiamo qui indicato non intendono né essere esaustivi né proporre un giudizio ultimo su quali gruppi siano “spirituali” o “religiosi” e quali no (giudizio che, per le ragioni indicate, è ultimamente impossibile).

B.: Fonte essenziale per lo studio della “religiosità cinese” è Joseph Needham,Science and Civilisation in China, 17 voll., Cambridge University Press, Cambridge – New York 1954-1998 (i primi tre volumi, il secondo in due tomi, sono stati tradotti da Einaudi, Torino 1976-1986, con il titolo Scienza e civiltà in Cina). Un classico, per alcuni versi ancora utile è Jan J.M. de Groot, The Religious System of China. Its Ancient Forms, Evolution, History and Present Aspect, Manners, Customs and Social Institutions Connected Therewith, 6 voll., Brill, Leida 1892-1910. Sul confucianesimo: Thomas A. Wilson, Genealogy of the Way. The Construction and Uses of the Confucian Tradition in Late Imperial China, Stanford University Press, Stanford 1995. Sul taoismo: Holmes Welch – Anna Siedel (a cura di), Facets of Taoism, Yale University Press, New Haven 1979; Isabelle Robinet, Storia del taoismo. Dalle origini al XIV secolo, trad. it., Astrolabio-Ubaldini, Roma 1993. Sull’alchimia interna, importante è il testo di Catherine Despeux, Immortali dell’antica Cina. Taoismo e alchimia femminile, trad. it., Astrolabio-Ubaldini, Roma 1991. Sullo stato di salute della religione nella Cina contemporanea cfr. pure Bernardo Cervellera, Missione Cina. Viaggio nell’Impero tra mercato e repressione, Ancora, Milano 2003.

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