Le Religioni in Italia
Massimo Introvigne - PierLuigi Zoccatelli (sotto la direzione di)
UN SUFISMO DEGLI IMMIGRATI: I MURIDI E I LAYENNES

La Murîdiyya
Associazione Cheikh Ahmadou Bamba
Via Brescia, 36
25026 Pontevico (Brescia)
Tel.: 030-9930701
Fax: 030-9930891
Il sistema delle confraternite sufi è particolarmente sviluppato in Senegal, dove gran parte della popolazione musulmana appartiene a tre confraternite, due importate – la Qâdiriyya e la Tijâniyya – e una nata in Senegal, la Murîdiyya. Quest’ultima riunisce circa un terzo dei senegalesi, principalmente di etnia wolof. Poiché quest’etnia è maggioritaria nell’emigrazione senegalese in Italia, si stima che circa due terzi degli oltre centomila senegalesi presenti in Italia appartengano alla Murîdiyya (da murîd, “novizio” o “discepolo”), facendone la maggiore confraternita sufi presente sul territorio italiano.
Alle origini della Murîdiyya si situa la predicazione di Ahmadou Bamba Mbacké (“Ahmed ben Mohamed ben Habib Allah”, 1853-1927), chiamato dai discepoli “Serign Touba”, dal nome della città – Touba – da lui fondata. Bamba, allevato in una famiglia affiliata alla Qâdiriyya, vive in un periodo di crisi caratterizzato dalla fine dei regni wolof e dalla vittoria finale in Senegal del colonialismo francese. La sua predicazione diventa punto di riferimento per aspirazioni contraddittorie, segnate da forme di malcontento in parte preesistenti alla venuta dei francesi. Questi ultimi – che temono la trasformazione della confraternita in fermento indipendentista – esiliano due volte Bamba, ma infine si convincono che il suo insegnamento non ha un contenuto politico, e negli ultimi anni della vita lo decorano perfino con la Legion d’Onore. Peraltro, è pure importante non leggere l’ascesa di Bamba come semplice reazione a fattori esterni e politici. La tradizione familiare, il contesto del sufismo nella regione e le effettive innovazioni apportate da Bamba rispetto a tale contesto sono altrettanto, se non più, importanti dei rapporti con il colonialismo.
Dopo la sua morte, la direzione della confraternita rimane nelle mani della famiglia Mbacké, discendenti diretti del fondatore – il cui primo successore e primo “califfo generale” dei muridi è Mouhamadou Moustapha Mbacké (1885-1945), cui succede Muhammad Fadilou Mbacké (1886-1968) –, ma un ruolo importante nella gerarchia muride assumono anche i collaboratori di Bamba, i “grandi talibé“, fra cui lo shaykh Ibra Fall (1858-1930), fondatore del movimento Bay Fall, che – a torto considerato da alcuni una branca separata del muridismo – ne costituisce insieme il “nucleo duro” e una sorta di servizio d’ordine, ai cui componenti è sia riconosciuta una grande dedizione alla causa muride sia rimproverata una certa intemperanza accompagnata da una scarsa osservanza delle pratiche islamiche. Con l’emigrazione senegalese – in cui un ruolo importante hanno venditori ambulanti di etnia wolof, in una parte significativa muridi – il muridismo è diventato un movimento diffuso in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Giappone.
A partire dagli anni 1970, sotto la guida di Abdoul Ahad Mbacké (1914-1989), la Murîdiyya – secondo l’espressione di Adriana Piga (“Un universo sufi cangiante, criptico e poliedrico: la Qadiriyya, la Muridiyya e la Tijaniyya: tre ordini mistici nel Senegal contemporaneo”, in Maria Immacolata Macioti [a cura di], Immigrati e religioni, Liguori, Napoli 2000, pp. 151-183 [p. 170 e p. 178]) – “cambia radicalmente volto”: potenzia la grande biblioteca di Tuba, dove un’Università di Studi Islamici si conquista un generale rispetto e dà alla confraternita “una dimensione religiosa di gran lunga più ortodossa”, così che “senza alcun dubbio l’ordine muride, accusato a lungo di eterodossia e di fanatismo, è riuscito nell’intento di fornire di sé un volto sempre più ortodosso se non addirittura puritano”. Questa linea è stata continuata dai successivi califfi generali Abdou Khadre Mbacké (1914-1990), Saliou Mbacké (1915-2007), Mouhamadou Lamine Mbacké (1925-2010), e Sidy Mokhtar Mbacké, in carica dal 2010.
La peculiarità del muridismo consiste nella “santificazione” del lavoro, che ha un ruolo altrettanto – se non più – importante della meditazione e della preghiera. Attraverso questa spiritualità del lavoro, Bamba inserisce nel sufismo un elemento autenticamente africano, e insieme si espone a critiche e riserve soprattutto da parte di ambienti tijânî. Alla base del muridismo, come di ogni altra tarîqa, vi è una sorta di patto iniziatico, la bai’a, con cui il discepolo (talibé) si affida al marabutto, mediatore fra l’uomo e Dio e garante sia della salvezza del discepolo sia, almeno in una certa misura, del suo benessere materiale. Attraverso la bai’a il discepolo promette al marabutto la khidma (“servizio”), cioè il lavoro svolto a profitto sia della confraternita sia – personalmente – del marabutto, che a sua volta si assume il compito della preghiera a beneficio del discepolo.
È attraverso la khidma e il rapporto contrattuale con il marabutto sancito dalla bai’a che il discepolo realizza la irada (“impegno a camminare verso Dio”). Il muridismo ha tra i suoi pilastri anche l’offerta (hadîya) e il pellegrinaggio annuale (ziyâra) a Touba, sulla tomba del fondatore, presieduto dal leader generale della confraternita (khalîfa). Il sistema delle offerte e del lavoro del tâlib a beneficio del marabutto ha fatto sorgere quello che Donal Brian Cruise O’Brien chiama “il mito dello sfruttamento” e l’immagine – caricaturale e divulgata dagli oppositori, sebbene anche indicativa di una reale possibilità di abusi – del marabutto, che alla guida di una lussuosa automobile si arricchisce sfruttando i discepoli. In realtà – come rileva Ottavia Schmidt di Friedberg (1957-2002) – il rapporto ha almeno un certo grado di vera reciprocità: il marabutto s’impegna ad assistere il talibé e la sua famiglia in una pluralità di modi, tra l’altro – tanto più nell’emigrazione – nella ricerca del lavoro, spesso con notevole successo, ponendosi nello stesso tempo come “polo di riferimento e di identificazione culturale”.
Questi rapporti dominano tutta la vita del talibé e penetrano nelle attività economiche: in Senegal dai negozi ai taxi e agli autobus il nome Touba e il ritratto del califfo generale o di uno dei suoi predecessori identificano immediatamente migliaia d’imprese economiche come appartenenti a un proprietario muride. Né è esclusa la politica: dopo la sua elezione nel 2000, il presidente della Repubblica Abdoulaye Wade si è proclamato “il primo presidente talibé“, suscitando consensi in una parte dei muridi ma anche riserve da parte di chi teme una manipolazione elettorale della religione. Queste controversie hanno raggiunto il culmine nella sofferta elezione presidenziale del 2012, nel corso della quale Wade è andato al ballottaggio con un altro candidato di famiglia muride, l’ex-primo ministro Macky Sall, che peraltro – a differenza di Wade – è sembrato voler prendere le distanze dall’uso dell’appartenenza alle confraternite a fini elettorali, un elemento caratteristico del panorama politico senegalese. Notevoli polemiche circondano pure il ruolo dei Bay Fall; ma – particolarmente in Italia – occorre chiedersi quante di queste polemiche siano amplificate dal desiderio di diverse realtà musulmane di circoscrivere la peculiarità senegalese, non facilmente riducibile ad altri modelli e strategie.
In Senegal i muridi si sono diffusi attraverso lo strumento della dara, espressione che indica originariamente una scuola ma in seguito un villaggio autosufficiente, mentre nelle grandi città e nell’emigrazione l’unità muride è la dâ’ira o dâ’hira (“circolo”), gruppo o insieme di gruppi di venti-trenta discepoli ciascuno che fanno riferimento allo stesso marabutto e si occupano della raccolta delle offerte e della organizzazione di riunioni settimanali di studio e preghiera. Non esiste un’anagrafe completa delle dâ’ira italiane, presenti peraltro in numerose località. Centri importanti sono a Pontevico (Cremona), Bovezzo (Brescia), Zingonia (Bergamo). Le dâ’ira italiane non sono federate fra loro, anche se tutte fanno riferimento all’autorità ultima del califfo generale di Touba. I muridi sono influenti in realtà senegalesi “laiche” presenti in Italia come il Coordinamento delle Associazioni Senegalesi in Italia (CASI), che peraltro si presenta come realtà etnonazionale piuttosto che religiosa e comprende anche senegalesi non muridi.
B.: In generale: Cheikh Anta Babou, Fighting the Greater Jihad. Amadu Bamba and the Founding of the Muridiyya of Senegal, 1853-1913, Ohio University Press, Athens (Ohio) 2007; Donal Brian Cruise O’Brien, The Mourides of Senegal. The Political and Economic Organisation of an Islamic Brotherhood, Clarendon Press, Oxford 1971; Fernand Dumont, La Pensée religieuse d’Amadou Bamba, Les Nouvelles Éditions Africaines, Dakar (Senegal) – Abidjan (Costa d’Avorio) 1975. Sull’Italia: Ottavia Schmidt di Friedberg, Islam, solidarietà e lavoro. I muridi senegalesi in Italia, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1994. Sui luoghi sacri in Senegal una guida con utili informazioni storiche è quella di Alain Julliet, Cheikh Ahmadou Bamba – Mouridisme, Éditeur Alain Julliet, Dakar – Touba 2010.
I Layennes
(I seguaci, immigrati capoverdiani e senegalesi, si ritrovano in case private)
URL (internazionale): www.layene.sn
Benché gli specialisti talora discutano se i Layennes o Layenes costituiscano una confraternita sufi o un movimento religioso ai margini dell’Islam, in Senegal pochi dubitano della loro piena appartenenza all’Islam, nonostante alcune innegabili peculiarità. Il fondatore, Seydima Limamou Laye (1843-1909), nasce nel 1843 a Yoff, un villaggio di pescatori alla periferia della capitale del Senegal, Dakar. Pescatore povero ma pio, a quarant’anni, nel 1884, perde la madre, cui è molto affezionato. Dopo tre giorni di mutismo e d’isolamento torna a Yoff vestito di tre tuniche bianche e si proclama l’inviato di Dio e il Mahdi atteso per i tempi ultimi. In lui, afferma, vive l’anima di Muhammad, così che non solo Limamou si proclama profeta, ma in effetti si presenta come la seconda venuta dello stesso Muhammad, il quale è dunque venuto una volta per gli arabi e gli europei e una seconda volta per i neri. Lancia un appello ai saggi dell’Islam e anche agli spiriti, i jinn, perché lo raggiungano a Yoff. Parenti e amici lo considerano malato di mente o posseduto, ma a poco a poco raduna alcuni seguaci, dapprima semplici pescatori come lui ma in seguito anche religiosi e studiosi del Corano venuti da tutto il Senegal e dai Paesi vicini.
Con loro a causa delle opposizioni non può vivere a Yoff e, quasi rivivendo l’esperienza di Muhammad, si trasferisce cinque chilometri più a Nord in un luogo che chiama Kem-Médine, “come Medina”, poi deformato in Cambérène. Questa “prima Cambérène”, oggi chiamata Ndingala, conserva un pozzo che raccoglie l’acqua – considerata miracolosa dai Layennes e da molti altri senegalesi – scaturita prodigiosamente da una sorgente scoperta in una zona aridissima, in un episodio nel corso del quale Limamou si proclama l’ultimo dei profeti e vede i jinn venire a lui da un vicino bosco.
Il successo del movimento è favorito dai numerosi miracoli – cacciata di demoni, guarigioni e perfino la sua stessa resurrezione – attribuiti al fondatore, ma allarma i guaritori popolari pre-islamici, che Limamou condanna fermamente, e anche le autorità francesi. Tra opposizioni e successi, Limamou muore nel 1909, lasciando un movimento in crescita e cinque volumi di sermoni trascritti dai seguaci in lingua wolof. Gli succede il figlio Seydina Issa Laye (1876-1949), il quale torna a Yoff alla morte del padre dopo tre anni di “esilio” dovuti a divergenze sul matrimonio di una sorella minore. Il suo nome, Issa, è la versione araba di Gesù, e la sua successione al padre s’inserisce in un momento di attese millenaristiche ai margini del mondo cattolico senegalese. Issa proclama dunque che, come suo padre è stato la seconda venuta di Muhammad, egli stesso è la seconda venuta di Gesù Cristo, oltre che il primo califfo generale della confraternita dei Layennes.
Inizia la costruzione del mausoleo che ospita le spoglie del padre a Yoff e, nel 1914, della prima moschea del movimento a Ndingala, la “prima Cambérène”, da cui però decide di spostarla in una città chiamata la “nuova Cambérène”, oggi abitata quasi totalmente da Layennes, a causa dei rischi di peste a Ndingala. I Layennes hanno così di fatto tre città sante: Yoff, Ndingala e Cambérène, che ospita il mausoleo di Issa.
Allo stesso Issa succede come secondo califfo generale il fratello Seydina Mandione Laye (1881-1971), cui succede ulteriormente il figlio Seydina Issa Laye (1914/1915-1987). Sotto il suo califfato vi sono influenze sciite, dovute a contatti con ambienti iraniani, le quali fanno sì che alcuni acclamino il fondatore come “presenza” del dodicesimo im?m nascosto. D’altro canto, la celebrazione del centenario dell’appello del fondatore (1981-1984) mostra come i Layennes siano ormai pienamente integrati nella società e nell’Islam senegalesi, nonostante critiche alla loro ortodossia che vengono soprattutto da ambienti tijani.
Nel 1987 quarto califfo generale diventa Mame Allassane Thiaw Laye (1917/1918-2001), un altro figlio del secondo califfo, il quale promuove una politica di ritorno all’ortodossia coranica, di alleanza – anche in terra di emigrazione – con i Muridi e di una certa identificazione con gli interessi dell’etnia lebou, maggioritaria fra i musulmani di Capo Verde, un Paese dove la confraternita si è ampiamente diffusa, e del resto affine per lingua e tradizioni ai wolof maggioritari in Senegal. Nel 2001 diventa quinto califfo Abdoulaye Thiaw Laye, nato nel 1926 e figlio del primo califfo. Il quinto califfo è stato compagno d’armi, e rimane amico, del terzo presidente del Senegal, il muride Abdoulaye Wade, ancorché alle elezioni del 2012, che hanno portato alla sconfitta di Wade, i Layennes abbiano votato in maggioranza contro il presidente uscente a causa di dissensi su un piano di smaltimento dei rifiuti di Dakar che ha portato notevoli problemi ecologici alle loro città sante.
Il numero di membri della confraternita dei Layennes nel mondo è oggetto di valutazioni contrastanti – le stime vanno da cinquantamila a oltre trecentomila –, ma in ogni caso la presenza tra i i senegalesi nonché tra i capoverdiani emigrati all’estero, Italia compresa – uomini e donne –, è forte soprattutto fra i giovani.
B.: Cecile Laborde, La Confrérie layenne et les lébous du Sénegal. Islam et culture traditionnelle en Afrique, Institut d’Études Politiques de Bordeaux, Bordeaux 1995. In italiano cfr. Adriana Piga, “Un universo sufi cangiante, criptico e poliedrico: la Qadiriyya, la Muridiyya e la Tijaniyya: tre ordini mistici nel Senegal contemporaneo”, in Maria Immacolata Macioti (a cura di), Immigrati e religioni, Liguori, Napoli 2000, pp. 151-183.