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Le Religioni in Italia

Massimo Introvigne - PierLuigi Zoccatelli (sotto la direzione di)

L’ISLAM SCIITA E LA SUA PRESENZA IN ITALIA

islamCoordinamento in Italia:
Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran presso la Santa Sede
Via Bruxelles 56
00198 Roma
Tel.: 06-8552494
Fax: 06-8547910
– Associazione Islamica “Imam Mahdi”
Via Gualdo Tadino 17
00181 Roma
E-mail: imam_mahdi59@yahoo.it
URL: www.islamshia.org

Il termine sciismo deriva da shi’a, “seguace”, e si riferisce alla più importante minoranza all’interno dell’Islam. Secondo la dottrina sciita il profeta Muhammad dopo ventitré anni di predicazione designa per ordine divino quale proprio successore e “guida (imām) infallibile” della comunità il genero e cugino ‘Alî, i cui seguaci saranno definiti “shi’a di ‘Alî”. Gli sciiti fondano questo principio di fede su alcuni hadîth e sulla convinzione che dopo la morte del Profeta l’Islam e la comunità islamica necessitino di una guida certa. Secondo la dottrina sciita tale guida appartiene alla Famiglia del Profeta (Ahlu’l-Bayt) e gli imām della famiglia, prescelti da Dio, sono stati pubblicamente designati dal Profeta per rivelazione divina. Gli sciiti (o almeno alcuni di essi) citano in particolare i seguenti hadith quali testimonianze della designazione di ‘Alî alla successione da parte di Muhammad:

–       hadith “yawm al-dâr“, pronunciato alla Mecca nei primi tempi della predicazione rivolta da Muhammad alla cerchia dei familiari e conoscenti;

–       hadith “râyat“, a memoria del vessillo (râyat) portato da ‘Alî nella battaglia vittoriosa di Khaybar, una fortezza nei pressi della città di Medina;

–       hadith “manzalat”, dove si paragona il rapporto tra il Profeta e ‘Alî a quello fra il profeta Mosé e suo fratello Aronne;

–       hadith “ghadir”, pronunciato da Muhammad davanti alla folla dei musulmani dopo il “pellegrinaggio dell’addio” del nono anno dell’Egira lunare nei pressi dello stagno (ghadir) di Khumm, fuori della Mecca;

–       hadith “thaqalayn”, pronunciato dal Profeta negli ultimi giorni di vita.

Gli sciiti credono inoltre che fra le righe dei versetti coranici siano implicitamente rilevabili indicazioni relative alla questione della continuità della guida della comunità islamica da parte della famiglia del Profeta, nelle figure in primo luogo di ‘Alî e quindi dei suoi figli. Tali indicazioni sono state successivamente estrapolate da esegeti e commentatori coranici. La famiglia del Profeta comprende l’imām ‘Alî, la moglie di quest’ultimo Fâtimah (figlia, come si è accennato, di Muhammad) e i loro figli Hasan (624-670) e Husayn (626-680).

Secondo gli sciiti ‘Alî, prescelto da Dio quale successore di Muhammad e primo imām della comunità, possedeva al massimo grado l’autorità scientifica e la dignità spirituale e morale necessarie alla divulgazione degli insegnamenti islamici e alla guida dell’Islam del suo tempo. Dopo ‘Alî, undici dei suoi discendenti sono designati come “imām infallibili”, secondo l’ordine che segue: Hasan, Husayn, ‘Alî Zayn al-‘Âbidîn (figlio di Husayn: †715), Muhammad al-Bâqir (figlio di ‘Alî Zayn al-‘Âbidîn: 688-732), Ja‘far al-Sâdiq (figlio di Muhammad al-Bâqir: 700-765), Musâ al-Kâzim (figlio di Ja‘far al-Sâdiq: 745-799), ‘Alî al-Ridâ (figlio di Musâ al-Kâzim: c. 765-818), Muhammad al-Jawâd (figlio di ‘Alî al-Ridâ: 808-835), ‘Alî al-Hâdi (figlio di Muhammad al-Jawâd: 827-868), al-Hasan al-‘Askari (figlio di ‘Alî al-Hâdi: 844-874) e Muhammad al-Mahdi al-Muntazar (nato nell’868, secondo gli sciiti in “occultazione” – ghayba – dall’anno 874).

Tutta la comunità islamica chiede ad ‘Alî di assumere il ruolo e il titolo di quarto califfo, ma ben presto sorgono contrasti con la tribù degli Omayyadi, al potere nell’attuale Siria. Origina qui la separazione fra sciiti e sunniti, che conduce a numerose guerre. I due imām sciiti Hasan e Husayn sono entrambi uccisi dagli Omayyadi. In particolare l’uccisione di Husayn, avvenuta in una battaglia contro l’esercito del figlio di Mu’âwiya, Yazid (642-683), a Karbalâ, nell’attuale Iraq, determina la rabbia profonda e l’odio degli sciiti. A partire da quel giorno, gli sciiti ricordano ogni anno l’avvenimento con il lutto e particolari cerimonie. Gli Abbasidi, successori degli Omayyadi, continuano l’inimicizia verso gli sciiti ed è per mano degli Abbasidi che sono uccisi diversi imām sciiti.

L’undicesimo imām, al-Hasan al-‘Askari, muore nell’anno 874. Il figlioletto Muhammad, soprannominato Mahdi nel senso di “guida”, è designato alla successione ma è presto vittima come i suoi predecessori dell’inimicizia degli Abbasidi. “Scompare” a sei anni nell’anno 260 dell’Egira (873/874 d.C.): secondo gli sciiti si “occulta” per non rimanere ucciso. Inizia così un periodo di settant’anni che gli sciiti chiamano “occultamento minore”, durante il quale – sempre secondo gli sciiti – quattro “vicari” possono mantenere il contatto diretto con il dodicesimo imām per sottoporgli i quesiti e i problemi della comunità. Nell’anno 329 dell’Egira (940/941 d.C.), in concomitanza con la morte del quarto “vicario”, ha inizio il cosiddetto “occultamento maggiore”, che per gli sciiti perdura ancora oggi. Secondo il credo sciita il Mahdi è vivo per volontà di Dio, ma si nasconde agli occhi dell’umanità. Egli guida in maniera occulta la comunità dei musulmani ed è l’ultimo uomo prescelto da Dio (baqiyato’llâh) e “segno” (hojjat) di Dio per gli uomini di ogni tempo.

L’imām Mahdi nella sua missione riapparirà un giorno agli occhi degli uomini per volere di Dio, e inviterà l’intera umanità all’Islam, instaurando nel mondo la giustizia, la pace e il benessere. Secondo gli sciiti, prima dell’inizio dell’occultamento maggiore l’imām Mahdi scrive una lettera al suo quarto “vicario” annunciandogli che con la sua morte non vi sarà più alcun intermediario diretto fra la comunità e l’imām, ma gli sciiti dovranno tuttavia seguire in ogni epoca il maggiore fra i teologi e sapienti (faqih) esistenti per risolvere ogni questione religiosa e sociale della comunità.

Il faqih è un giurisperito che a seguito di assidui studi e ricerche nell’ambito del Corano e degli hadith (che in questo senso sono i detti sia di Muhammad sia dei dodici imām), attraverso l’ausilio della deduzione razionale e dei pareri degli altri giurisperiti (ijmâ’), è in grado di ricavare e divulgare i precetti e le norme religiose necessarie al buon andamento della comunità. Secondo la dottrina sciita, tuttavia, i comandamenti e i precetti divini sono assolutamente immutabili e l’umanità non può stabilire e introdurre arbitrariamente alcuna norma religiosa, nemmeno la più marginale. È invece compito del mojtahed dedurre e ricavare i precetti validi e adatti per ogni tempo. Ijtihâd, parola da cui deriva il termine mojtahed, significa in arabo “sforzo”, ovvero indirizzamento di ogni propria energia verso una determinata questione. Pertanto il mojtahed per gli sciiti è colui che, basandosi su studi approfonditi, impiega il massimo impegno nello sforzo di ricavare e divulgare i precetti divini deducendoli dalle quattro fonti costituite dal Corano, dagli hadith, dalla speculazione razionale e dalla ijmâ’, senza minimāmente inficiare i precetti e i principi originari e fondamentali dell’Islam trasmessi da Muhammad e dai dodici imām.

Quando un faqih giunge al sommo grado della scienza e della devozione e riceve il gradimento della maggioranza degli sciiti diventa noto come marja’-e taqlid (“fonte dell’imitazione”). Nell’interpretazione sciita tale espressione prende anche il significato di “vicario generale dell’imām del Tempo”. L’uno dopo l’altro, coloro che hanno il titolo di “fonti dell’imitazione” assumono la guida della comunità, in attesa del giorno in cui l’imām Mahdi apparirà per volontà divina e inviterà l’intera umanità a seguire la via di Dio.

Il termine “imāmato” significa “guida e dignità del capo religioso (imām)”. Benché l’espressione abbia anche altri significati (per esempio – ma non è evidentemente questo il senso in cui qui se ne tratta – imām è anche colui che guida il rito della preghiera collettiva islamica, seguito nei movimenti e nella pronuncia delle formule dai fedeli disposti ordinatamente dietro di lui), nell’Islam si riferisce in particolare alla guida e al governo della comunità islamica in tutta le questioni, sia religiose sia temporali. L’Islam sciita – come del resto anche quello sunnita – non comprende solo un aspetto ultraterreno: i precetti dell’Islam regolano infatti il rapporto individuale fra l’uomo e Dio ma anche i rapporti fra gli uomini in questo mondo. Nell’Islam chi svolge il ruolo di guida nel complesso degli affari religiosi deve (secondo l’esempio dello stesso Muhammad) svolgere tale ruolo anche negli affari temporali. Benché non esista nessuna scuola islamica che respinga formalmente tale dottrina, lo sciismo sottolinea con particolare vigore che i problemi sociali e il governo della società non sono distinti dalla religione; sono bensì iscritti in essa, facendone parte integrante. Perciò chi presiede il governo della società islamica presiede un governo religioso e deve essere punto di riferimento e fonte di ispirazione anche nell’ambito della religione.

Nella visione sciita l’autorità di tale governo è legittima solo quando è conferita da Dio. Per questo motivo chi ricopre il ruolo di guida deve essere “infallibile” nella divulgazione dei precetti e della dottrina islamica ed “esente dal peccato”. L’imām infallibile possiede tutte le prerogative del profeta Muhammad, a esclusione della sola missione e rivelazione profetica. Le parole dell’imām sulla verità e la dottrina islamica sono vincolanti per i fedeli e parimenti sono vincolanti le sue disposizioni nell’ambito degli affari temporali di governo. Tre questioni relative all’imāmato distinguono quindi lo sciismo dal sunnismo: nella dottrina sciita l’imām deve essere prescelto da Dio; deve possedere scienza ispirata da Dio ed essere “esente dall’errore”; deve essere “esente dal peccato”.

Nell’Islam sciita, accertato che con Muhammad la profezia giunge a definitivo compimento, ci si chiede se oltre il termine di essa esista ancora un rapporto di comunicazione fra il mondo trascendente e quello creato. Gli sciiti sostengono che il rapporto fra Dio e le creature è possibile anche al di là di quello stabilito per mezzo dei profeti e della profezia. La comunicazione che avviene attraverso la rivelazione profetica (che, appunto, si è interrotta dopo la missione di Muhammad) è distinta da quella che avviene per ispirazione. Nel secondo tipo di comunicazione Dio parla all’imām – che non è profeta, né inviato di Dio – in maniera indiretta, appunto orientandolo attraverso l’ispirazione. È chiaro che Dio può stabilire comunque un rapporto di comunicazione con qualsivoglia individuo egli ritenga degno. Esistono tuttavia, secondo gli sciiti, individui con i quali Dio ha stabilito per certo tale comunicazione: essi sono i dodici imām e Fâtimah (figlia di Muhammad e moglie di ‘Alî). Insieme a Muhammad, essi sono noti nell’Islam sciita come “i quattordici infallibili”. Il dodicesimo imām, secondo gli sciiti ancora vivo, mantiene il rapporto di comunicazione fra Dio e gli uomini, e orienta indirettamente la società, indirizzando in particolare modo dal punto di vista spirituale, secondo la propria volontà, le guide religiose o “fonti dell’imitazione”.

Lo sciismo ha varie ramificazioni. La maggioranza degli sciiti – la cui storia e dottrina è stata presentata precedentemente – prende il nome di imāmiti o duodecimani. Essi, come si è accennato, riconoscono quale diritto esclusivo della famiglia del Profeta il governo islamico e il rango di fonte e autorità della scienza. Su questo punto, esistono differenze fra i duodecimani maggioritari e le minoranze degli zaiditi e degli ismailiti. Gli zaiditi sono i seguaci del martire Zaid (†740), figlio dell’imām ‘Alî Zayn al-‘Âbidîn, detto al-Sajjâd (“colui che si prosterna sovente”). Nell’anno 121 dell’Egira (738/739 d.C.) Zaid insorge contro il califfo omayyade Hishâm ibn ‘Abd al-Malik (691-743), ottenendo il giuramento di fedeltà di una fazione. Zaid rimane ucciso nel corso della battaglia contro l’esercito del califfo che scoppia nei pressi della città di Kufa.

I suoi seguaci considerano Zaid il quinto imām della famiglia del Profeta. Gli succede il figlio Yahyâ (†743), ucciso a sua volta con i suoi partigiani nel corso di una rivolta nella regione di Herat. Dopo di lui sono prescelti quali imām zaiditi Muhammad al-Nafs al Zakiya (†763) e il fratello Ibrahîm (†763), uccisi – rispettivamente a Medina e a Bassora – a causa di un’insurrezione contro il califfo abbaside Abû Ja‘far ‘Abd Allâh ibn Muhammad ibn ‘Ali al-Mansûr (c. 709-775). In principio gli zaiditi, e in particolare lo stesso Zaid, annoverano nella lista dei propri imām i due califfi Abu Bakr e ‘Omar. Tuttavia dopo qualche tempo alcuni di essi cancellano il nome dei primi due califfi dalla catena degli imām, facendola iniziare da ‘Alî. Gli zaiditi, peraltro, non riconoscono l’imāmato come prerogativa esclusiva della famiglia del Profeta ed estendono oltre il numero di dodici gli imām. Inoltre, contrariamente ai duodecimani, nell’ambito del diritto non seguono la giurisprudenza della famiglia del Profeta.

Il nome “ismailiti” deriva da Ismâ‘il ibn Ja‘far (†762), figlio primogenito del sesto imām sciita Ja‘far al-Sâdiq, morto quando il padre era ancora in vita. Benché Ja‘far al-Sâdiq attesti la morte del primogenito chiamando a testimone il governatore di Medina, alcuni credono che Ismâ‘il non sia morto, ma sia invece entrato in occultamento. Riconoscono in lui il Mahdi atteso e credono che debba riapparire alla fine dei tempi. Sono inoltre convinti che l’attestazione della sua morte da parte di Ja‘far al-Sâdiq sia da attribuire al timore del califfo abbaside al-Mansûr. Altri credono che il ruolo di imām spetti a Ismâ‘il solo in via teorica, ed essendo egli morto sia da attribuire al figlio. I membri di un terzo gruppo ritengono che Ismâ‘il sia sì morto quando il padre era ancora in vita, ma gli spetti pienamente il ruolo di imām, trasmesso poi a suo figlio Muhammad ibn Ismâ‘il e alla sua discendenza. Le prime due branche si estinguono dopo poco tempo, mentre la terza sopravvive fino ai nostri giorni, dando vita a ulteriori diramazioni. La presenza ismailita in Italia si esprime in particolare nella Comunità Ismailita Italiana, che ha sede a Roma ed è presieduta dalla signora Gulshan Jivraj Antivalle, una cittadina italiana nata in Kenya.

Non riconoscendo il secondo imām sciita Hasan, questi ismailiti nel loro filone principale sono detti sab‘iya (“settimani”, espressione che non è peraltro sinonimo di “ismailiti”, perché non tutti gli ismailiti sono settimani) in quanto riconoscono sette (e non dodici) imām: ‘Alî, Husayn, ‘Alî Zayn al-‘Âbidîn, Muhammad al-Bâqir, Ja‘far al-Sâdiq, Ismâ‘il ibn Ja‘far e il figlio di quest’ultimo, Muhammad ibn Ismâ‘il. A Muhammad figlio di Ismâ’il seguono sette successori i cui nomi sono celati. A essi succedono i primi sette regnanti della dinastia fatimide d’Egitto a partire da ‘Ubayd Allâh al-Mahdi (†934), fondatore della dinastia. Gli ismailiti credono che oltre al testimone (hojjat) di Dio esistano sulla Terra dodici guide (naqib), seguaci più vicini e prescelti del testimone di Dio.

Sul punto esistono tuttavia dissensi fra varie branche e diramazioni ismailite. Dopo l’ottavo califfo fatimida d’Egitto – al-Mustansir (1029-1094) -, due suoi figli – Nizâr (c. 1045-1095) e il nono califfo fatimida d’Egitto al-Musta‘li (1074-1101) – si disputano il regno e la guida della comunità ismailita. Dopo numerose lotte emerge vincitore Musta‘li, ma da questa contesa origina la divisione fra nizariti e musta‘liti. I drusi – diffusi in Libano e nell’emigrazione libanese – originano a loro volta da un ceppo ismailita, pure avendo sviluppato caratteristiche peculiari e uniche. Gli ismailiti hanno subito nel corso della loro storia influenze di diverse religioni e filosofie e hanno sviluppato un ricco esoterismo. Al contrario degli zaiditi, hanno come si è accennato una piccola presenza organizzata in Italia, Paese nel quale gli sciiti in genere sono una componente minoritaria del mondo islamico – la percentuale sul totale dei musulmani in Italia sembra attestarsi attorno al 5% –, che si esprime attraverso vari centri e organizzazioni, nel cui coordinamento è rilevante il ruolo della sezione culturale dell’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran presso la Santa Sede e dell’Associazione Islamica “Iman Mahdi” di Roma, nata nel 2004 con l’ambizione di coordinare gli sciiti non solo a Roma, ma sull’intero territorio nazionale. Oltre a gruppi di convertiti italiani, immigrati sciiti dal Pakistan – la cui comunità rappresenta numericamente la presenza più significativa di sciiti in Italia, seguita dagli immigrati sciiti dall’Iran, Libano e Afghanistan – animano due centri a Carpi (Modena) e Cesano Boscone (Milano), mentre la maggioranza delle altre comunità sciite italiane – Ancona, Brescia, Como, Milano, Napoli, Palermo, Parma, Torino, Trapani – è nata da iraniani. A Roma, peraltro, si riscontra anche la presenza d’immigrati afghani di etnia hazara, una minoranza prevalentemente sciita che rappresenta in Afghanistan il 15% della popolazione, ma che è stata maggioritaria nell’immigrazione afghana in Italia almeno fino al 2010 circa (in seguito, sono immigrati prevalentemente afghani di altre etnie).

B.: Fra le opere pubblicate in Italia cfr., in particolare, ‘Allâmah Sayyd Muhammad – Husayn Tâbatabâ’i, L’insegnamento islamico. Compendio della dottrina tradizionale, trad. it., Centro Culturale Islamico Europeo, Roma 1988; e ‘Allâmah Tâbatabâ’i, L’islam sciita, trad. it., Centro Culturale Islamico Europeo, Roma 1989. Sull’Islam sciita in generale, cfr. Biancamaria Scarcia Amoretti, Sciiti nel mondo, Jouvence, Roma 1994. Sull’Islam nell’Iran contemporaneo: Stefano Salzani, Iran. Religione, rivoluzione e democrazia, Elledici, Leumann (Torino) 2004. Sull’Islam sciita in Italia, cfr. Minoo Mirshahvalad, Sciiti in Italia. Il cammino dell’Islam minoritario in diaspora, Edizioni Paguro, Mercato San Severino (Salerno) 2020.

Associazione Islamica “Ahl-al-Bait”

URL (internazionale): www.aimislam.com/

In cordiali relazioni con numerosi altri ambienti sciiti – e in particolare strettamente collegata all’Associazione Islamica «Iman Mahdi» di Roma -, l’Associazione Islamica “Ahl-al-Bait” (“Genti della Casa”) ha la peculiarità di nascere da convertiti italiani, mossi da un interesse e da un entusiasmo – originariamente di natura prettamente politica, che si trasforma poi in adesione religiosa – per la rivoluzione islamica del 1979 in Iran e per la figura dell’imām Ruhollah Khomeini (1901-1989). Luigi (“Ammar”) De Martino si converte all’Islam nel 1983; entrato in contatto con studenti iraniani aderisce alla Shi’a nel 1984. Dopo avere radunato diversi seguaci, dal 1991 pubblica a Napoli l’agenzia di informazione Il Puro Islam, che da modesto dattiloscritto si è trasformata in una rivista anche graficamente ben curata.

L’associazione nata a Napoli e che dal 2007 si è trasferita, con il fondatore, ad Alba (Cuneo) aderisce all’Associazione Mondiale Ahl-al-Bait e promuove convegni in diverse città italiane per fare conoscere l’Islam sciita e la figura dell’imām Khomeini. L’associazione segue anche con entusiasmo il movimento libanese sciita Hezbollah, di cui ricorda il legame con l’Iran e in particolare con l’ayatollah Sayed Ali Khamenei; un editoriale de Il Puro Islam scrive che “la battaglia dell’Hezbollah, in tutti questi anni, è stata combattuta all’insegna della Religione in maniera chiara, netta, precisa” e che “non a caso la Guida dell’Hezbollah è anche la nostra guida: Seyed Ali Khamenei, il Wali Faqi dei musulmani a cui va il nostro saluto (…)” (“La liberazione libanese”, Il Puro Islam, anno 9, n. 5, maggio-giugno 2000, pp. 1-2 [p. 1]), e, in generale, sostiene attraverso dichiarazioni pubbliche la causa islamica nelle «zone calde» del mondo (Palestina, Iraq…). Tramite una newsletter aperiodica, diffusa mediante e-mail, l’organizzazione diffonde commenti, notizie, prese di posizione di esponenti e guide spirituali del mondo sciita internazionale (in traduzione italiana) circa alcune questioni di particolare interesse e attualità politico-religiosa. Inoltre, diffonde testi di esponenti autorevoli del mondo sciita e annuncia le sue iniziative pubbliche.

B.: Oltre all’agenzia di informazione (ormai una vera e propria rivista) Il Puro Islam, l’Associazione distribuisce testi a suo tempo stampati in trad. it. dal Centro Culturale Islamico Europeo, Roma, tra cui imām Khomeini. La vita, la lotta, il messaggio (s.d.), e Salman Ghaffari, Il digiuno nell’Islam (1987); e – del teologo e protagonista della rivoluzione iraniana Morteza Mutahhari (1920-1979) – L’uomo e la fede, trad. it., Mancosu, Roma 1995. Sull’Associazione non esistono studi, l’unico contributo è di Andrea Menegotto, “Sciiti in Italia: l’Associazione Ahl-Al-Bait”, in Il Dialogo-Al Hiwâr. Bimestrale del Centro F. Peirone di Torino, anno VI, n. 3-2004, p. 20.

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